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martedì 23 dicembre 2014

Il femminile, il maschile e la Grande Madre.

FEMMINILE, MASCHILE E GRANDE MADRE. Un tentativo di porre chiarezza.

Il mito della nascita di Eva dalla costola pone parecchie questioni. È proprio qui, che si rilancia un dualismo, dicotomico, sciagurato, di maschile contro femminile, un dualismo in cui uno dei due deve soccombere. Eva, appunto. Perche' se si è fatte della sostanza di un altro essere (provenire da una costola questo significa), difficile poter credere di esistere per " se stesse". La dignità dell' esistenza di Eva è subordinata all' essere dalla cui sostanza è stata creata. 
Lilith, in posizione non gerarchica poiché proveniente dalla stessa terra di cui era fatto Adamo, è stata fatta fuori. Pensava "troppo" con la sua testa.
Ma il dualismo dicotomico, il vedere maschile e femminile in modo contrapposto, porta fuori strada. Perche' non è questo, il pensiero precedente a questi miti. Non ci azzecca un tubo, l' idea (paranoica e purtroppo ancora sostenuta) che prima del patriarcato ci fosse una "supremazia del femminile". È proprio questo che causa incomprensione. Nascere da una costola crea una dinamica di potere.
Ma nascere da un utero NO. Perche i valori materni non sono il "contrario" speculare di quelli ritenuti "maschili". Sono altro. Questa è la chiave che apre le porte della comprensione della spiritualità di Dea.
La Grande Madre non è il contrario speculare di questo Dio Padre che siamo abituate/i a vedere.
La Grande Madre nel suo ventre tiene tanto il femminile quanto il maschile.
Che sono due semi. Due.
L' utero è la terra. E il mito della costola disconosce il fatto che nessuno dei due semi, anche se insieme, servirebbero a molto senza nutrimento. 9 lunghe lune di coccole e nutrimento. Che vengono annullate, disconosciute, volutamente ignorate. La potenza del parto non e' una potenza che "prevarica e opprime". Passare per il cancello-vagina, non impone superiorità' sulla creatura. Non sulla femmina, non sul maschio. Cose che ogni madre sa dal profondo. Quel passaggio tanto doloroso e faticoso è atto di amore. Per questo gli antichi lo usavano come sacra metafora della creazione. E lo veneravano.
Quel passaggio dona quei valori materni sia al femminile che al maschile.
Il patriarcato non ha voluto capire e, geloso di un potere il cui significato ha distorto, l' ha sradicato con miti cosmogonici differenti, usando metafore come quella della nascita della donna dalla costola (o fianco che sia, cambia poco) piuttosto che altri espedienti. Segni di questa gelosia è rimasta nei vari miti che narrano di esseri maschili che, vuoi con il verbo, vuoi dalla propria testa, creano la vita da soli.
È cosi che sono rimaste nella cultura attuale, anche da noi, praticamente solo la competizione e gerarchia. È così che la questione del rapporto fra generi viene trattata solo alla stregua di una gara; è così che parole come "femminismo" e "matriarcato" vengono fraintese e storpiate nel significato, ritenuto erroneamente contrario speculare di "maschilismo" e "patriarcato".
La mancanza della Grande Madre è quindi una mancanza di tutti. Ecco perché molte donne ma anche alcuni uomini ne celebrano il ritorno.
Ma la comprensione si ha, solo se si fa lo sforzo, al contempo intellettuale e "di pancia", di uscire dal dualismo. Un bello sforzo, per una cultura totalmente dualistica. 
Ecco che le correnti della spiritualità della Grande Madre, almeno quelle non dualistiche, lavorano per ri-membrare una cultura differente. Che veda maschile e femminile come gemelli nell' utero della Madre. E questo Utero (simboleggiato dalla coppa, dal calderone, dal santo Graal, ecc), attualmente disconosciuto, sia la metafora del modo di produrre cultura, attraverso i succitati valori materni. 
Benedizioni....Laura Ghianda, Yule 2014

venerdì 12 dicembre 2014

Santa Lucia come antica Dea della Luce e del Solstizio di Inverno.

Tracce della Dea nelle nostre terre. 
Domani, 13 dicembre, sarà Santa Lucia. Bambine e bambini qui l'attendono con ansia, perchè è lei la prima distributrice dei doni di Natale. 
In questa foto, scattata a Pergine Valsugana, la Santa è accolta da bimbi e bimbe in festa, che giungono in piazza dalle varie vie trascinando barattoli vuoti. 
Lucia arriva col suo asinello, e... velata. Esattamente come la celtica Cailleach, il cui nome, in antico gaelico, significa esattamente "la velata", e la cui celebrazione, per la Ruota dell'Anno secondo il Tempio della Dea di Glastonbury ma non solo in questa tradizione, è proprio... per il Solstizio di Inverno!
La prima volta che ho assistito al suo arrivo beh, mi sono commossa. Era la Dea. Dea in persona! Il tutto è molto suggestivo!
Anticamente, e più precisamente prima dell'introduzione del Calendario Gregoriano (1582), la sua festa era in prossimità....del Solstizio di Inverno. Yule. Il nome "Lucia" ha radice in comune con "luce", e il ritorno della Luce è uno dei significati dell'antica festa del Solstizio. 
Inoltre, resta il detto popolare "Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia", come testimonianza dell'antico collocarsi della sua celebrazione al tempo del Solstizio, effettivo giorno in cui le ore di luce raggiungono il loro minimo...per poi però iniziare anche ad aumentare e dare così inizio a un nuovo ciclo solare. 
Il fatto che Lucia sia una Dea abbinata alla luce, resta anche nelle credenze popolari che la vogliono come protettrice della vista. L'essersi "cavata gli occhi" pare essere una credenza attribuita in seguito per legame proprio con questa sua funzione (la religione cattolica tende ad abbinare la santità al martirio e al dolore), perchè la sua leggenda parla di ben altre torture e un paio di morti alternative (per decapitazione o per accoltellamento). 
Da veneziana qual sono, ho osservato con molta curiosità, da bimba, il corpo di colei che è ritenuta Santa Lucia all'interno dell'omonima chiesa.
In ogni caso, Lucia ha finito per assumere a sè l'archetipo della Signora dell'Inverno e della Luce, archetipo che nutre molte diverse Dee in queste terre, di cui parleremo man mano. La Chiesa ha cristianizzato questa Dea, ma le energie che porta sono trasversali a qualsiasi credo religioso. 
Lei è Luce, è regina dell'Inverno, è Colei che riporta il Sole. Perchè gli archetipi del sacro femminino abbracciano entrambi gli opposti. Sono lunari e solari assieme. 
Benedizioni.

giovedì 27 novembre 2014

Il peso delle aspettative

Qualche giorno fa, lessi su Facebook un post che suonava circa "incontrerai persone che ti ameranno per come sei. E incontrerai persone che ti odieranno per lo stesso motivo, fattene una ragione.".
Magari. 

Io credo che spesso accada questo: "incontrerai persone che ti ameranno per quello che sperano che tu sia. E incontrerai persone che ti odieranno, sempre per quello che sperano che tu sia. E questo è un gran casino".


Le aspettative che abbiamo nei confronti degli altri, sono un fatto normale. Credo scattino inconsciamente e inconsapevolmente per la maggior parte delle volte, e in tutti noi. Me compresa.
Allo stesso tempo, vissute "dall'altra parte", ovvero dal punto di vista della persona che è investita di tali aspettative, positive o negative che siano, sono una gabbia terribile.
Perchè impediscono l'espressione della propria identità, limitano la radianza della propria realtà, costringono ad assumere un ruolo "involontario", quasi sempre eccessivo. Un'idealizzazione in positivo, o in negativo.
Qualche esempio "in positivo". Penso a Glastonbury, quando la mia tutor è stata investita di ruoli fantasmagorici da film, che l'hanno voluta una sorta di "impeccabile infallibile maestra spirituale, una Somma Sacerdotessa senza macchia e senza paura, che sa e vede tutto; penso a quello che volevo fosse il mio fidanzatino da adolescente, l'uomo perfetto dei miei sogni; penso alla nostra "amica perfetta", la persona stupenda che è proprio "come la vogliamo noi".
Poi però, la delusione è direttamente proporzionale all'intensità della nostra idealizzazione. La mia tutor, è diventata un mostro che ha plagiato con il suo carattere forte le persone a seguirla, traumatizzandole; il mio fidanzatino è diventato il peggior stronzo sulla faccia della terra, che "è cambiato" deludendomi; l'amica perfetta ci ha "tradito" rivelandoci cose che "non ci aspettavamo di vedere".
Anche la nostra delusione, è proiettata: è l'altro a deluderci, mica siamo noi, ad esserci fatti un'idea sbagliata.

E poi ci sono le aspettative in negativo: una disumanizzazione che avviene quotidianamente nelle nostre vite e nella nostra cultura, a livello personale e anche collettivo, ogni qual volta decidiamo che "l'altro" è nostro nemico. Ne ho sofferto anche io, quando da "meravigliosa persona perfetta" mi sono con altrettanta velocità ritrovata a incarnare "la stronza perfetta", capace di ogni diavolo di stregoneria, maleducata, opportunista, persino accusata "di voler fregare mariti" (!), insomma la peggiore persona del mondo. E poco importa, cosa io provassi. Chissenefrega, di cosa l'altro davvero pensi. Poco importano i suoi reali sentimenti. Perchè l'idealizzazione, una volta che avviene, è difficilmente revocabile.
E' incredibile cosa ci inventiamo, per trovare "LE PROVE" che quel che pensiamo dell'altro sia vero! Dal modificare "parole udite", a vedere "significati nascosti" tra le righe, al romanzare fatti accaduti credendoci davvero, alla nostra nuova versione.
Non si vuole veramente conoscere l'altro. Si vuole che l'altro reciti nel teatro del nostro bisogno, in un impulso a sperimentarci in un gioco di ruoli. Una sorta di costellazione familiare dove però, i ruoli non sono concordati, non sono condivisi e non sono chiari. 


Entrambi i tipi di idealizzazione, in "positivo" o "in negativo" che siano, fanno di fatto sparire il lato "umano", normale, della persona che abbiamo di fronte. Sono modalità che servono a noi. Funzionali a un nostro "bisogno": di vedere come reale ciò che è un nostro desiderio. O di vedere, sempre come reale, il cattivo di cui necessitiamo, così che noi possiamo sentirci "più giusti, più buoni, più puri, più leali, più vittime". 
Piaccia o no, l'idealizzazione è puramente un bisogno egoistico. Sono sempre e solo nostre proiezioni. 
Cose che vengono dall'interno di noi, e che noi proiettiamo nella realtà. Ma che non sono la realtà.
Talvolta servono solo a tenere vive le speranze, penso a quando necessitiamo che il nostro ideale di essere umano "esista davvero nella pelle di qualcuno", per avere un esempio da seguire. Ma è un'illusione, perchè appena l'altra persona mostrerà il suo volto umano (ed è inevitabile che accada, siamo tutti umani!), la speranza si infrangerà in mille pezzi, e i sentimenti si capovolgeranno diametralmente.
Più spesso serve a scappare dalla lezione di vita che non vogliamo apprendere: è una forma di difesa, laddove la realtà fa troppo male, o laddove dovremmo vedere qualcosa che metterebbe troppo in discussione tutto ciò che crediamo ci stia proteggendo. 




E' da un pò che penso a queste questioni. Dal tempo del fidanzato della mia adolescenza di cui scrivevo lassù. Eppur, ogni volta è una doccia fredda, quando mi accorgo di quanto anche io idealizzi gli altri, o quando capita che qualcuno idealizzi me.
Penso che l'apertura "pura" sia quasi una chimera. Che sia davvero difficile da praticare, perchè semplicemente non esiste un'"oggettività". Ciò che guardiamo, sarà sempre filtrato dalle lenti del nostro mondo interiore. 
Eppur, penso si possa migliorare, quantomeno partendo dal ripeterci che chi abbiamo davanti, è pur sempre un essere umano. Potrà piacerci, o non piacerci affatto. Ma forse possiamo fare a meno di "assolutizzare", di proiettarci il sommo bene o il sommo male. 
Se non riusciamo a "svelare il trucco", il rischio è di continuare a perpetuare una catena di relazioni con il mondo che è sempre la stessa: questo ripetersi di ruoli ideali con cui ci confrontiamo, di fatto, ci impedisce di crescere e andare oltre. 

Accade ovunque. Ma accade ancora di più, nel campo della spiritualità. Teniamone conto.
Siamo noi, quello che noi ricerchiamo come esempio. Ciascuno di noi può avvicinarsi sempre di più a ciò che desidera essere. Non dobbiamo chiedere a un altro che ci investa di questo potere: ce lo abbiamo noi quel potere. Usiamolo. 
Credo che questa sia una chiave importante che possa aprire molte porte.




lunedì 15 settembre 2014

Daniza. Amare l'orsa, vuol dire non occuparsi degli esseri umani? Lettera a un quotidiano locale.

Voglio condividere con voi la mia piccola protesta, una voce che non sopporta più le assurdità che vengono sbandierate pur di mettere a tacere gli amanti dell'orso.

Caro Direttore,
stanca di quanto leggo e sento ultimamente, voglio fare sentire la mia voce.
Per contestare qualcuno, occorrerebbe conoscere bene le ragioni del suo argomentare.
Sul fatto dell’uccisione di Daniza, ne ho sentite invece di tutti i colori.
L’ultima “confutazione” di moda, è l’accusa di “non essere capaci di preoccuparsi di cose più importanti” mossa alle persone che amano l’orso e sono scese in piazza per contestare il modo in cui il caso di Daniza è stato gestito.
Il mio professore di retorica dei tempi dell' Università griderebbe alla “fallacia di falso dilemma”. Ovvero, questa argomentazione si fonda su un errore di ragionamento, ponendo, nell’ambito delle scelte etiche, la sfera dell’umano in falsa contrapposizione con la sfera dell’animale, dell’orso in questo caso.
Cari signori, cittadini, sindaci o religiosi, per quale motivo l’interesse per l’orso dovrebbe escludere l’interesse per l’essere umano, per i bambini che soffrono, per la desertificazione, per le guerre del mondo, ecc?
Per ciò che conta, nella mia esperienza invece accade il contrario. Le persone che scelgono di scendere in piazza sono spesso “attive” su più fronti. Invece mi domando: questi predicatori che, per non ascoltare le ragioni –forse ritenute scomode- di coloro che protestano e accusano con arroganza un gran numero di persone di essere “incapaci di dare il giusto peso alle cose”, cosa fanno concretamente, nel loro stile di vita, nelle loro scelte, per i problemi che loro stessi nominano come prioritari? 
La protesta per Daniza (si, il nome lo conoscono tutti perché pubblicato nelle prime pagine a caratteri cubitali da tutte le testate giornalistiche e diffuso da tutti i TG da circa un mese quasi quotidianamente) è molto di più di quanto si voglia vedere.
Ha a che fare con una politica arrogante incapace di mettere in discussione le sue scelte, specie quando messe in atto per ingraziarsi lo sguardo di possibili elettori. Politica che riguarda il nostro territorio in cui io e voi paghiamo le tasse e che quindi deve, per diritto costituzionale, poter essere criticata, anche se esistono "le guerre nel mondo".
Ha a che fare con la presunta superiorità dell’uomo sull’ambiente e sulle specie animali. Purtroppo fioccano gli esempi di come l’uomo spesso distrugga per capriccio e interessi economici, piuttosto che quelli in cui la convivenza è virtuosa. Come se l’uomo non fosse in verità parte della stessa natura che sta annientando (un sindaco, vostro lettore, citava la desertificazione? Appunto).
Ha a che fare con la difesa di esseri più deboli dalla cocciutaggine e dall’insensibilità dell’essere umano, che compie ogni sorta di crudeltà per egoismo, o per divertimento. Crudeltà che è umana, ricordo, e non animale.
Ha a che fare con l’arroganza di chi, occupando posizioni di potere, pretende la ragione snobbando punti di vista differenti: questo atteggiamento provoca maggior rabbia, e non è certo indice di capacità dialogo. Peggiora solo le cose perché opprime opinioni che dovrebbero, stando alle regole di democrazia, avere uguale dignità.
Ha a che vedere con quello che il simbolo dell’orso –e ancora di più, il simbolo di Madre Orsa- richiama nelle coscienze di un grande numero di persone: la natura nel suo aspetto selvaggio, che riflette una parte stessa della nostra più intima identità di animali, e la Natura nel suo aspetto di Madre, sempre più sostituito da una concezione di questa come di “matrigna”.
Sono simboli che ci appartengono. Negarli e soffocarli, non fanno che aumentare lo sdegno.
La foresta, non è il giardino di casa, da trasformare in un prato inglese. E’ casa dell’orso-orsa, parte da sempre della nostra cultura alpina al punto da essere stato, in passato venerato: come una Dea.
“L’uccisione dell’orso è in parallelo con l’uccisione del drago”, proponeva qualcuno. Non potrei che essere più d’accordo.
Se il caso di Daniza ha avuto tanta risonanza, mi sembra ragionevole interrogarsi dal profondo sui motivi, invece che ridicolizzare queste persone e i loro sentimenti.
Ad ogni modo, se ci sono cose più importanti di cui preoccuparsi, lancio la proposta di raccogliere i soldi destinati all’organizzazione delle attività venatorie, per indirizzarli, piuttosto, a una delle cause elencate, dai soggetti a cui mi riferivo sopra, come prioritarie. Ce n’è una bella scelta.

In fede,
Laura Ghianda

giovedì 11 settembre 2014

L'uccisione dell'orso e l'uccisione del drago. Addio Daniza, meravigliosa Madre Orsa.

Qualche mese fa assistetti a un incontro in cui si paragonava l’uccisione dell’orso, all’uccisione del drago. Un paragone quanto mai azzeccato, ammesso che non si cada nell’inganno di significare il drago-orso come una sorta di ambasciatore del “male assoluto”, bensì accettando di considerare i due animali per il loro significato arcaico. La Natura.
E’ con questo significato, che voglio scrivere questo intervento, con il cuore gonfio di dolore, senso di fallimento nei confronti della mia specie di appartenenza così autoreferenziale e poco consapevole di essere parte di un Tutto più grande, con la consapevolezza che, con la morte dell’Orsa Daniza, se ne va un’altra possibilità di trovare un modo diverso di rapportarsi alla natura. Ai nostri occhi sempre meno Mamma. Sempre più Matrigna.
Non mi soffermerò molto sulla figura del Drago. Le interpretazioni possibili dell’allegoria della sua uccisione sono molte.
Spesso il drago è descritto come “il Cattivo”. Viene inteso a rappresentare i demoni umani, il bagaglio di caratteristiche scomode a un determinato modo di concepire il “giusto e il vero”. 
Io ho sempre visto altro.
Il Drago è molto di più. In sé ha l’elemento terra: la sua mole maestosa. Ha l’elemento Aria: le sue ali. Ha l’elemento fuoco: il suo soffio. Ha l’elemento acqua: il suo essere anfibio. E non può mancare la quintessenza: la sua capacità di essere intelligente e saggio oltre ogni epoca, ogni cultura, ogni umana comprensione.
In una parola, il Drago è la Natura. In tutta la sua sacralità e potenza. Una natura che è fatta di un’intelligenza selvaggia e imbarazzante, come imbarazzante è considerato ogni istinto umano: persino quello materno (non parliamo di quello sessuale, nevvero?).
E come essere sacro e potente veniva venerato, prima di essere "infilzato" come uno spiedino da un culto successivo e patriarcale, che ha fatto di tutto per demonizzarlo e cambiare il nostro immaginario. Purtroppo, riuscendoci.
All’incontro a cui partecipai, in provincia di Trento, purtroppo ci si soffermò per poco tempo sugli aspetti mitologici del drago e dell’orso. La mitologia, nella cultura “post-post positivista” di oggi, viene sempre  ritenuta poco seria e relegata al ruolo di “favoletta”, e il discorso si è spostato subito su un piano scientifico. Bellissimo, interessante, ma…
..Ma è la mitologia, sono le storie che ci raccontiamo, le “favole”, che sanno parlare una lingua così diretta da raggiungere le parti più nascoste di noi sino a riuscire a influenzare il nostro modo di pensare, agire, produrre cultura. 
Storie più o meno fantasiose, che non andrebbero quindi ridicolizzate in fretta e furia. Un grosso errore, quello di considerarla “conoscenza di serie B”.

La storia di convivenza tra l’uomo (e la donna?) e l’orso, è ancora oggi scritta in quelle storie. In quelle “favole”. E l’epilogo, ancora una volta, è un’altra Orsa uccisa. Tra l’esultanza di parte della popolazione, l’indifferenza della maggior parte, e le lacrime di una terza parte… Un altro drago immolato all’altare della superiorità umana che non mette in discussione nulla del suo vivere comodo. 

Le leggende questo vogliono:
la natura imbrigliata. Addomesticata. No, di più. Assoggettata alla volontà umana. La promessa che sarà l’uomo a regnare su tutto. Un uomo che ha scordato come dialogare con quanto lo circonda. Che ha scordato che “non è tutto suo”. Non è tutto suo diritto.
Un’orsa, Daniza, colpevole di avere solo…fatto l’Orsa.
E le responsabilità umane? Taciute. 

Uno o due giorni dopo l’attacco al fungaiolo per cui Daniza è divenuta famosa, è apparso su un quotidiano locale qui in Trentino il racconto di un albergatore della zona, che dichiarava candidamente di come avesse incontrato e spaventato Daniza coi suoi due cuccioli, la stessa mattina dell’attacco. Daniza fece l’orsa: si girò e se ne andò. Ma lui, non contento, la seguì per un po’. Finchè il distacco non fu tale, da vederla sparire e allora decise di tornare indietro.
“Poi è arrivato il fungaiolo”. L’articolo si chiudeva pressappoco così. Nessuno ne parlò più.
L’Orsa Daniza fu messa sotto processo. 
Nessuno andò dall’albergatore a chiedere “cosa diavolo ti è venuto in mente?”.
Nessuno che si prese la briga di immaginare come Daniza possa aver vissuto quello che, a me, suona tutto come un inseguimento di una mamma con due piccoli da difendere da un essere che non si conosce. Di cui poi può benissimo aver fatto le spese l’ignaro fungaiolo, che si è trovata un’orsa incazzata per via di questi umani impiccioni. 
Tanto sta, che Daniza ora è morta. Ufficialmente, si dice che non abbia retto la dose di anestetico utilizzato per catturarla. Due cuccioli di nove mesi sono ora senza la loro mamma.
E noi “Sapiens Sapiens”, sapiens di nozioni ma sempre meno sapiens di saggezza, abbiamo ucciso di nuovo in nome della nostra incapacità di convivere con la natura, dalla quale ci sentiamo sempre più distanti, tranne quando ci piace considerarla come luogo privilegiato per i nostri picnic domenicali. La Natura con la museruola.
Ho letto in quest'ultimo mese (dall'incidente di Daniza e il fungaiolo) ogni sorta di parere e dibattito. Tra chi sosteneva che i difensori dell’orso sono cittadini (termine usato in senso quasi dispregiativo) e che le montagne se le devono gestire i montanari. Come se Trento fosse Milano.
Chi persino sosteneva che il progetto Live Ursus sarebbe assurdo, poiché “l’orso non sarebbe mai stata specie endemica del Trentino” (questa poi….).
Chi ancora oggi, parlando dell’uccisione, prosegue il suo articolo con la lista delle “malefatte”, così, tanto per dire che con questa morte, non si è perso nulla anzi.
Ho letto infinite liste di nomi che terminano per “isti”, usati per etichettare (al solito) la fazione che non si vuol ascoltare.
Ho letto, come giustificazioni alla cattura, immaginari scenari di orsi terribili che sterminano esseri umani – dimenticando che gli sterminatori fino a prova contraria per il momento siamo noi umani………della natura, e di noi stessi (se natura e animali ci dovessero rendere pan per focaccia, ragazzi miei, allora pronti a scappare tutti quanti). Un po’ come nei film con gli alieni: storie in cui proiettiamo in un nemico esterno quelle che sono le nostre stesse ombre. 
Gli amanti dell’orso, sono persino stati definiti ”terroristi”!
Si è toccata ogni sorta di assurdità retorica. Nessun dialogo, nessun ascolto. La decisione era presa. Daniza doveva sparire dal suo bosco, dalla sua casa. Per giunta a solo un mese dal letargo!! 
Gli amanti dell’orso, o sostenitori della necessità di non annientare e sterminare per i nostri comodi di “Sapiens sempre meno Sapiens”, oggi piangono, assieme a me. E, ammesso che gli orsi piangano, assieme ai due indifesi cuccioli di nove mesi, che sono orfani e soli, senza più la loro Mamma. 
Cosa era l’orso, per i nostri antenati?
Non il trofeo da esibire in santuari (per quanto meravigliosi, magici, pieni di magia e meritevoli di essere visitati), non un animale da infilzare.
Ma una Dea, una Dea Madre per giunta, che in tutta Europa nonché nelle Alpi che sono SEMPRE state la sua casa, è stata venerata con i nomi di Dea Artio, Artha, Artia, Andarta, Artemide…. E che era animale tutelare di colui che noi stessi chiamiamo eroe, “Artù”. 
Una Dea, e una Madre che oggi è stata nuovamente uccisa. Nel suo essere Orsa, nel suo essere Dea Natura, e nel suo essere Madre.

Addio piccola meravigliosa Daniza. Un posto nel mio cuore per te ci sarà sempre. E anche, quanto prima, un posto sulla mia pelle.
Invito i miei lettori a tenere acceso un lume per questa creatura. Anche se questo post verrà letto molto tempo dopo averlo pubblicato. Un lume per riaccendere nei nostri occhi di "mica tanto Sapiens" la sacralità di questo magnifico animale. 
Questo assassinio non è stato compiuto in mio nome.





mercoledì 10 settembre 2014

Tempio coperto, tempio scoperto. Come è fuori, così è dentro. Tutto è sacro.

In principio, era il bosco. No, meglio.
In principio, era la Natura. Tutto.
Il Sacro permeava ogni cosa, senza distinzione tra ciò che era sacro, e ciò che era profano.
Accadeva molto tempo fa. Prima che il pensiero dicotomico si impossessasse della capacità di significare la realtà degli esseri umani.

Dopo aver scritto il post sulla visione del Tempio della Grande Madre di Trento (leggi qui), una cara ragazza che ha avuto il coraggio di esprimere i suoi sentimenti a riguardo, mi ha scritto qualche messaggio in cui esprimeva dubbi sull'opportunità di un luogo coperto e chiuso in cui celebrare il sacro femminino. La ringrazio, perché mi ha permesso di rivedere le tappe del percorso del mio pensiero in merito,di cui ora voglio scrivere.

E' un tema su cui ragiono da molto tempo.
Non avevo espresso ancora la mia intuizione a riguardo, e immagino che le domande che mi sono posta io (e che si pone questa ragazza), se le pongano in molte/i.

Sulla venerazione del Sacro all'aperto, vorrei segnalare un favoloso articolo di Luciana Percovich (clicca qui)  che parla da sé.
Le mie ricerche arrivano alle medesime conclusioni.

La mia prima intuizione, era la ricerca di un bosco, da acquistare magari come associazione, un luogo protetto per celebrare lontano da "manacce irrispettose e cementificatrici".
E non ho abbandonato questa idea.
Questo è il mio vissuto, dopo tutto.
E' stata la Natura ad avermi "salvato" da certe brutture della vita.
Una natura che non ha nemmeno bisogno di essere "sacralizzata" con un'umana operazione: è già sacra di suo. Ciò che ha bisogno di essere "ri-sacralizzato" è piuttosto l'occhio umano che osserva la natura e non vede più qualcosa di sacro. Ma "un dono", un giocattolino da usare a piacimento. A questo scopo, alcuni riti rispondono bene. Servono all'umano, a rieducarlo, riabilitarlo, ri-donare un potere perduto che non è nell'abuso della Natura, ma nell'alleanza con la Natura la sua vera forza.
E l'arcaico tabù dei luoghi inviolabili, di cui parla anche Luciana nel suo articolo, sta forse a significare proprio un simbolico limite all'azione umana: "agisci, prendi, disponi ma non di tutto. Limitati. Ciò che ti serve per vivere, è nel tuo diritto. Il resto non è tuo. E' degli spiriti che lo vivono. E' di altre creature. Visibili o meno." E' l'inviolabilità, come simbolo che occorre avere chiaro questo limite. Oltre il quale non è saggio spingersi.
Un limite che abbiamo perduto da molto tempo.
I miei primi "riti", quando ancora ero una bambina di una decina d'anni, avvenivano su una roccia a forma di aquila o di drago (o così io la vedevo), che avevo "scoperto" per caso.
E nella mia crescita, ogni esperienza di sacro significativa non avveniva nell'edificio "chiesa" messo a disposizione dalla mia religione di provenienza, no. Era il bosco che cercavo. Bosco che affrontavo, talvolta anche isolandomi, per ascoltare le mie paure, nelle ore notturne. Bosco nel quale ho dormito senza riparo. Bosco nel quale ho meditato, suonato, cantato, camminato.....

Poi, ho fatto esperienza del Goddess Temple a Glastonbury.
E ho intuito anche altre cose.

Non è l'edificio "chiesa" così come lo abbiamo sperimentato, il modello del "tempio coperto" che è nella visione che propongo.
L'edificio chiesa si inserisce in una modalità di pensiero, duale, che contrappone la materia creata (e quindi la natura) allo spirito.
Lo spirito sommo, la Divinità, chiusa nel "sancta sanctorum", l'area più sacra, cuore dell'edificio. Il sancta sactorum, è un luogo chiuso e inaccessibile in cui presenzia lo spirito della divinità, una delle uniche tre forme di immanenza del Dio trascendente, secondo la tradizione ebraica.
La chiusura qui simboleggia distacco dal resto della materia, profana, se non persino impura. "Luogo dello Spirito", si dice in certe accezioni.
Questo simbolo di distacco mal si concilia con la mia intuizione.

Ho sperimentato un luogo-tempio altro, come un luogo "tana".
Un luogo sicuro, in cui ri-addestrare l'occhio umano a scorgere la sacralità in tutto.
In se stesso, prima di tutto.
Ho sperimentato attraverso alcune Dee, simbolo di questa "tana", del focolare "sicuro", che Colei che è fuori, è Colei che è anche dentro (Brigit, per fare un esempio, veniva celebrata anche al coperto).
Dea risolve gli opposti. E in questa risoluzione, alberga il suo Tempio. Lei è in ogni cosa. Lei è nella volontà di riunire.
Dinanzi un edificio, una medesima forma esteriore può cambiare il senso del suo esistere radicalmente, se fondata su intenti così differenti.

Ho sperimentato il bisogno delle persone di un simile luogo, un tempio moderno che forse rievoca arcaici ricordi di templi ben più antichi: penso a Malta, dove le prove archeologiche portano all'ipotesi di una copertura ormai dispersa, forse perchè lignea...
Ta Hagrat. Modellino di Tempio maltese.

La cultura in cui viviamo oggi forse ci espone troppo a una sensazione di bombardamento.
A cui si risponde con desiderio di protezione. Non dalla Natura perchè "profana". Una protezione, bensì, dagli stimoli culturali che la desacralizzano, che sono costanti e onnipresenti.
Desiderio di una "tana", luogo arcaico della nostra natura di animali.
Tana come avvicinamento, di nuovo, quasi per paradosso, alla Natura.
Tana-Tempio come luogo intermedio, in grado di de-strutturare certi concetti di cui sentiamo poter fare a meno (tra cui, il concetto di materia contrapposto a spirito), e iniziare così un cambiamento.
Un luogo Utero, in cui i cambiamenti iniziano a prendere vita.
Tana-Tempio-Utero, come luogo di formazione. Per riapprendere ciò che è dimenticato e costruire assieme una nuova forma di cultura.
Tana Tempio Utero come luogo-edificio riconosciuto immediatamente dallo sguardo di chi appartiene all'attuale cultura, per non separare più "natura" da "cultura".
Tana Tempio Utero per offrire a Dea un posto anche all'interno della cultura, quindi.
Le sue pareti non per separare. Ma per contenere, nutrire e dare vita come in Utero di Madre.
Nel Tempio di Glastonbury, Dea Una e la Dea Multiforme nei suoi vari aspetti, si percepisce forte quanto la si percepisce nel meraviglioso bosco in cui cammino per riconnettermi con Lei. Magari in modo differente, ma altrettanto intenso.
Si percepisce come dinanzi alla potenza del mare. Come nel fascino del temporale e nella paura della tempesta.
Lei sa essere presente. E' la montagna superba e magnifica. Ed è il tiepido calore della mia casa. E' l'intero Universo, è il centro del mio cuore. E' il bosco nel quale adoro perdermi e stupirmi dei suoi abitanti. E' il tempio che Le dedicheremo.

Perchè è Colei che è fuori. Ed è Colei che è dentro.
E io scelgo di non contrapporre più ciò che è fuori, con ciò che è dentro.

Laura Ghianda



martedì 2 settembre 2014

Il sogno e la visione del Tempio della Grande Madre di Trento

Sogno un luogo stabile, colmo dell'energia della Grande Madre.

Un luogo sicuro, per coloro che desiderano sperimentarla.

Un luogo che può essere aperto come era nei tempi della nostre arcaiche antenate, la Natura, dove Colei che è sempre stata si trova già, senza necessità di un'umana costruzione.

Ma anche un luogo coperto, stabile, protetto, colorato e decorato, profumato di incensi e illuminato da lumi e candele. Un luogo riconoscibile e individuabile da coloro che ricercano....
Un luogo caldo e confortevole.

Un luogo accessibile a chiunque, anche a chi non può camminare.

Un luogo che sia un punto di approdo per ogni persona desideri incontrare Dea; meditare, pregare, o anche solo riposare nella sua energia. Un utero che accoglie, e non respinge.

Sogno che accolga ricercatori provenienti da qualsiasi corrente religiosa o spirituale: che non sia un luogo di chiusura per pochi eletti e poche elette, ma che ciascuno in grado di varcare con rispetto la soglia del suo ingresso, possa trovarvi posto. E scegliere da sè, quanto di questa presenza fare entrare nella propria vita.
Che sia dunque aperto senza distinzioni di genere, razza, religione o corrente spirituale, opinioni, preferenze sessuali, riconoscendo esso la "Comune Natura Umana" delle persone.

Sogno un luogo stabile che sia un punto di riferimento per i nostri eventi, le celebrazioni della sua Natura e dei suoi aspetti, la nostra ricerca, lo studio, le nostre feste in Suo onore. Aperto a coloro che a noi si vogliono unire.

Sogno un luogo di guarigione. Di risa e di lacrime. Di canti e musica. Di lunghi silenzi. Di luce e di buio.

Sogno un luogo aperto al pubblico, retto dalle sue Melisse e  Sacerdotesse/Sacerdoti, provenienti anche da tradizioni diverse. Sogno un'alleanza delle vie, attorno a questo progetto.

Sogno che questo progetto sia alimentato da molti cuori, focalizzati in questo intento. E non accentrato su un'unica persona (io o qualsiasi altra) che lo regge a modo di "somma sacerdotessa". Sogno che non sia sede di un'organizzazione gerarchica, ma di cerchi di amanti di questo sogno, membri alla pari che per qualsiasi motivo decidono di sostenere questo progetto.

Sogno che, per una volta, si abbia il coraggio di osare qualcosa di diverso: non una replica di altre religioni o altre correnti spirituali, ma qualcosa di nuovo. Se il vecchio ha sempre fallito, è tempo di riprovarci, con creatività.
Sogno sia luogo di sperimentazione e creatività.

Sogno che sia luogo di costruzione, non di distruzione.

Sogno che al suo interno siano valorizzate le relazioni. Non le prestazioni.

Sogno un luogo ove ricercare e studiare la Dea. Una e Multiforme, Immanente e Trascendente, Colei che è dentro e fuori. Materiale e Immateriale.

Sogno un luogo dove studiare e praticare un differente modo di fare cultura. Una cultura di partnership e non di dominanza.

Sogno che al suo interno si possa imparare il sostegno e un altro modo di comunicare, non violento. Allo stesso tempo, che ci sia supporto per il fallimento, e non giudizio ed esclusione dinanzi a questo. Sogno che i conflitti si possano dipanare in altri modi, materni, matristici.

Sogno che profumi dei profumi della Grande Madre, colei che riunisce e risolve gli opposti.

Sogno sia parte di una rete di Templi di Dea e delle Dee italiana (in corso!) e internazionale (già esiste, uniamoci!)

Quindi, ovvio, sogno sia un luogo per i locali, e anche per i visitatori. Internazionale e intimo assieme.

Sogno che.........

Se vuoi unirti al mio sogno, perchè lo condividi anche tu, perchè ti garba... aggiungi anche i tuoi, di sogni..... perchè non lo facciamo assieme?
Facciamolo.
Ce la possiamo fare.


Riportiamo la Dea in vita anche in questo splendido angolo di mondo.

(tutte le immagini utilizzate si riferiscono alla Goddess Hall e al Goddess Temple di Glastonbury www.goddesstemple.co.uk )


Laura Ghianda











giovedì 28 agosto 2014

Evento a Trento: CONOSCERE E VIVERE LA RUOTA DELL'ANNO, secondo gli insegnamenti del Tempio della Dea di Glastonbury/Avalon

Conoscere e Vivere la Ruota dell’Anno

secondo gli insegnamenti del Tempio della Dea di Glastonbury/Avalon*


Ruota dipinta da Wendy Andrew. Immagine tratta dalla copertina del testo "la Dea nell'antica Britannia", Kathy Jones, ed. Psiche2. 


Percorso teorico e esperienziale di avvicinamento allo strumento della Ruota dell’anno, nell’ambito della Spiritualità Femminile

La Ruota dell’Anno è molto più di un calendario che segna il passaggio delle stagioni; è metafora dell’intera esistenza, è una bussola che guida al riconoscimento di e al ri-allineamento con una sacralità dimenticata: quella che è nei nostri corpi, nelle nostre esperienze, nelle nostre azioni, nella fantastica natura in cui viviamo, nel nostro essere parte dell’Universo.

Il percorso è composto di 8 incontri in un anno, in prossimità di 8 antiche feste sacre i cui echi sono giunti attraverso il tempo fino ad oggi. Ciascun incontro sarà dedicato a un aspetto della Grande Dea così come celebrata a Glastonbury/Avalon: inizieremo a conoscere come la sua energia può essere sperimentata nella vita e nella quotidianità, da ciascuno di noi, senza “intermediari”.
Il percorso è aperto a donne e uomini.

Quando:
-Sabato 1 novembre 2014: Samhain. Introduzione sulla Ruota dell’Anno in generale, e aspetto archetipico della Vecchia o Crona, Signora della Morte, Rigenerazione e Rinascita.
-Sabato 27 dicembre 2014: Yule. Dedicato alla Signora dell’elemento Aria.
-Sabato 31 gennaio 2015: Imbolc. Dedicato all’aspetto archetipico della Bambina/Fanciulla.
-Domenica 15 marzo 2015: Ostara. Dedicato alla Signora dell’elemento Fuoco.
-Sabato 2 maggio 2015: Beltane. Dedicato all’aspetto archetipico dell’Amante.
-Sabato 20 giugno 2015: Litha. Dedicato alla Signora dell’elemento Acqua.
-Sabato 1 Agosto 2015: Lammas. Dedicato all’aspetto archetipico della Madre.
-Sabato 19 settembre 2015: Mabon. Dedicato alla Signora dell’elemento Terra, e al Centro della Ruota, che rappresenta la totalità degli aspetti.

Orari: dalle 15.30 alle 19.00, pausa cena libera, dalle 20.00 alle 22.00 (gli orari possono subire alcune modifiche, che verranno eventualmente comunicate)

LE ISCRIZIONI SONO OBBLIGATORIE ENTRO IL 5/10/2014(email ghiandavalon@gmail.com)

Il percorso partirà con un numero minimo di 6 iscritte/i. 24 posti disponibili.

Dove: associazione “L’Acqua che Balla”, via Carlo Dordi 15 (vicinissimo al Duomo), Trento.

Come:
Il percorso prevede momenti di studio individuale (preparatori agli incontri), momenti di confronto e scambio, momenti di attività esperienziali, momenti di celebrazione. Creeremo oggetti sacri, suoneremo, canteremo, viaggeremo in meditazione, danzeremo, condivideremo risate e lacrime, biscotti e tisane.
Ri-membreremo e ri-celebreremo alcuni archetipi del Divino Femminile; impareremo e ri-pronunceremo i nomi delle Dee della Ruota di Brigit-Ana, le inviteremo a essere presenti nel nostro cerchio assieme ai loro doni, e… sbirceremo alla ricerca dei paralleli nel folclore e nelle leggende del nostro territorio.

Con cosa:
-E’ previsto lo studio di due testi di Kathy Jones, fondatrice del Tempio di Glastonbury (costo a carico del partecipante): la Dea nell’antica Britannia”, ed.Psiche 2 + la prima parte di “Sacerdotessa di Avalon, Sacerdotessa della Dea”, Ester Edizioni.
-Dispense, articoli o altro materiale teorico sarà messo a disposizione della facilitatrice.
-Materiale di massima per attività creative, occorrente per le celebrazioni, e varie attività, a cura della facilitatrice.
-Eventuali indicazioni su oggetti a tema o materiale che i partecipanti dovranno portare, saranno fornite di volta in volta prima degli incontri.

Costi:
Un piccolo preambolo: nel nostro paese c’è molta resistenza rispetto alla possibilità che un percorso che si presenta legato a qualche forma di spiritualità, possa prevedere dei costi a carico dei partecipanti.
E’ però importante tenere conto che ci sono dei costi di organizzazione, a volte anche importanti (affitto della sala, trasporti, acquisto materiali per attività, acquisto materiali per le celebrazioni, cibo e bevande messe a disposizione, volantini, tempo di progettazione, ecc..).
Se la facilitatrice andasse in perdita, sarà molto probabile che in futuro... abbandoni l'idea di organizzare percorsi e seminari!
Tuttavia, se il numero degli iscritti lo consentirà (sopra i 15), è mia intenzione sperimentare modalità alternative al “costo fisso” del percorso.
La mia idea, è di agire alcuni dei valori che ispirano anche la filosofia del cammino nella Dea: onestà, trasparenza, responsabilità, coscienza…
Intendo quindi condividere in modo trasparente quelli che sono i costi a carico dell’organizzazione… e dare fiducia agli appartenenti al gruppo che potranno essere liberi di donare secondo coscienza e disponibilità.
Ogni eventuale eccedenza, sarà in ogni caso reinvestita parte in progetti riguardanti il gruppo stesso (uscite extra sul territorio, cerimonie all’aperto….) e parte in altri progetti legati al Sacro Femminino e alla cultura di “Madremondo”.
Ciò è naturalmente applicabile solo in caso di un gruppo numeroso.

Altrimenti, i costi proposti sono:
-da 6 a 8 partecipanti: 20 euro per incontro
-da 9 a 11 partecipanti: 15 euro per incontro
-da 12 a 14 partecipanti: 10 euro per incontro
-sopra i 15: donazione responsabile.
(il costo dei due testi di Kathy Jones sono esclusi)

In un mondo che chiede di essere pagato in denaro, il denaro è purtroppo ancora importante. Ma non è tutto! Si offre disponibilità quindi a valutare proposte alternative di scambio (es. lavoro di giardinaggio, baby sitting, prodotti dell’orto di tanto in tanto…).

Nota: il percorso proposto non intende sostituirsi alla Prima Spirale della scuola del Tempio di Glastonbury, ne è una versione semplificata e adattata al nostro contesto territoriale.
             
Facilitatrice: Laura Ghianda, madre, Sacerdotessa di Avalon e Sacerdotessa della Dea formata presso il Tempio della Dea di Glastonbury, ricercatrice indipendente sui temi della Grande Dea e del sacro femminino. Artista poliedrica, è laureata in Scienze dell’Educazione, ed è educatrice professionale.

*Il Tempio della Dea di Glastonbury: inaugurato nel 2002, è il primo tempio dedicato alla Dea, a esser stato ufficialmente riconosciuto come pubblico luogo di culto da un governo occidentale… almeno da un paio di migliaia di anni! Da quest'anno, i matrimoni in esso celebrati hanno valore legale per il Regno Unito. Oggi il Tempio è considerato un punto di riferimento per i ricercatori della Dea di tutto il mondo, e organizza una scuola che prepara sia donne che uomini al cammino del sacerdozio. Particolarità dell’approccio spirituale proposto, è la dichiarata non dogmaticità degli insegnamenti e la non gerarchizzazione dell’organizzazione. (www.goddesstemple.co.uk)
Sull’esempio di Glastonbury, altri Templi della Dea sono recentemente stati aperti in vari stati (USA, Australia, Belgio, Olanda, Ungheria, Spagna, Svezia..)
Glastonbury è anche sede dell’annuale Goddess Conference (Conferenza della Dea), solitamente in programma l’ultima settimana di luglio, evento ricco di stimoli e opportunità che raduna partecipanti da tutti i continenti. (www.goddessconference.com)

"Esistono in Italia e all’estero altri percorsi relativi ad Avalon ed alla sua conoscenza spirituale, pratica e intellettuale, tutti validi e praticabili; in questo percorso della Ruota dell’Anno si affronta però specificatamente, in contenuti, forme e modalità simili a quelle trasmesse nelle Spirali del Goddess Temple di Glastonbury

"Le Sacerdotesse di Avalon di origine italiana formate alla scuola di Glastonbury: Laura Ghianda (Trento), Anna Bordin (Mestre), Claudia Carta (Roma), Sarah Perini (Torino) stanno proponendo nelle loro regioni e sul territorio nazionale attività dedicate alla conoscenza di Avalon, consigliamo di visitare i loro siti per ulteriori informazioni (link sulla lista dei siti del blog)." 


sabato 19 luglio 2014

“MALEFICENT”, la ricomposizione di un archetipo arcaico.


Sono fresca spettatrice di questo nuovo film Disney, con una spettacolare Angelina Jolie che ha interpretato un altrettanto spettacolare personaggio femminile, di quelli che sogno da anni di vedere rappresentati.

Vorrei proporre la mia recensione, forse un po’ diversa da quelle che già si trovano in giro. A coloro che non voglion rovinarsi la sorpresa del finale, suggerisco di rimandare la lettura.

Già all’inizio, la voce narrante parla di due regni vicini ma separati. Quello degli uomini, avidi esseri governati da re, e quello pacifico delle fate, che “non ha bisogno di re e regine, perché le sue creature si fidavano le une delle altre”. E già qui…

Gli uomini però guardavano con invidia al regno sereno delle fate, così pieno di potere, magia e tesori, e decisero di armare un esercito per impadronirsi delle loro ricchezze. Come se fosse la forza, il modo adatto per avvicinarsi a quel regno… Una prima lettura che immediatamente mi si è affacciata è qui il rapporto, ancora drammaticamente attuale, tra uomo e natura: un saccheggio senza rispetto per impadronirsi di risorse, un’imposizione brutale delle proprie necessità egoistiche che non considerano gli effetti di un simile sterminio.

La storia inizia con un’inaspettata amicizia tra due personaggi. La bella enigmatica fata “Malefica”, serena e giusta, e il piccolo Stefano, ragazzo umano di umili origini ma, come si vedrà, alte aspirazioni.

I due finiscono per innamorarsi, rompendo un vecchio tabu che non voleva gli appartenenti ai due mondi in un tal livello di prossimità, e al compimento del 16° anno di età di Malefica, Stefano le promette il “bacio del vero amore”. “Ma non sarà così”, anticipa la voce narrante.

I due non si vedranno più da quando Stefano andrà a vivere a corte.

Il re, in punto di morte, dichiara ancora desiderio di vendetta per la sconfitta subita in battaglia da Malefica e dagli esseri fatati che difendevano le loro terre e il loro regno dall’avidità umana. Promette la corona a chi gli avrebbe portato la testa della bella Malefica.

Stefano ricorda una dichiarazione di Malefica fatta anni prima, quando erano bambini: “il ferro brucia le fate”. Capisce che ha almeno due armi dalla sua parte per conquistare la corona: la fiducia che Malefica aveva verso di lui, e la conoscenza del segreto della debolezza delle fate.

Così cerca l’ex amata, fingendo l’amore nuovamente rinnovato. La addormenta con una pozione, ma quando è in punto di ucciderla non trova il coraggio. Tuttavia, con una catena in ferro le strappa le ali, che consegnerà al re come segno della sconfitta della protettrice del regno fatato. In cambio della corona.

E qui mi si propone istantaneo un secondo livello di lettura, che richiama altri miti cosmogonici arcaici: la bramosia del maschile che si impossessa degli strumenti femminili per conquistare e mantenere il potere. Una versione moderna e fantasy del “furto della borsa sacra” aborigeno. Due i rapporti in gioco: natura e umanità, femminile e maschile.

E ancor più è degna di nota la conseguenza di tale gesto. La chiusura del cuore di Malefica, che da essere giusto e equilibrato si trasforma nella famosa “strega cattiva” di infantile memoria. Una ferita che ha avuto il peggior potere di destabilizzare. Una mutilazione che ha fatto smarrire la protagonista di una parte della sua identità originaria.


Ed ecco che la fata divenuta strega si autoproclama regina, esigendo il rispetto delle creature fatate fino ad allora libere da vincoli gerarchici. Il regno viene rinchiuso e protetto da una barriera di arbusti spinosi, e Malefica inizia ad agire gli stessi valori di quel mondo che l’ha mutilata.

La ferita ricevuta diviene vendetta. E accade il famoso giorno del battesimo della piccola figlia di re Stefano, al quale giorno si presenta portando in dono la sua maledizione, che addolcirà solo dopo una seconda supplica del re nemico che si inginocchia dinanzi a lei, dinanzi agli ospiti del castello.
La piccola si pungerà con un ago di un fuso proveniente da un arcolaio, quando questa compirà il 16 compleanno.

E sarcasticamente, guardando Stefano dirà che solo “il bacio del vero amore” sarà in grado di destarla.


Ma è da ora in poi, che la fiaba classica si arricchisce di sorprese.

L’odio più volte dichiarato alla piccola Aurora a poco a poco si trasforma in altro.

La principessa è accudita da tre maldestre fate in una casa da sogno nel bosco, lontano da filatrici e arcolai. Ma di fatto sarà Malefica a intervenire più volte per riparare i danni causati dalle tre.


Al punto che il rapporto tra Aurora e Malefica  si fa un rapporto tra madre e figlia.

Ecco che l’archetipo della strega-crona si riprende il suo aspetto di madre.

Tenta di eliminare il sortilegio imposto, ma che lei stessa rese “irrevocabile” il giorno del battesimo della piccola. E per proteggerla, le propone di vivere con lei nel suo regno, nella brughiera.

Quando Aurora, al compimento del 16° anno, viene a scoprire dalle tre fate la verità sul sortilegio e sull’identità di Malefica, fino ad allora chiamata “fata madrina”, si allontanerà in tutta coscienza, alla ricerca del suo destino.

Torna al castello del padre, il quale la fa immediatamente rinchiudere nella speranza di “salvarla”, o “preservarla” nella sua innocenza di bambina.

Ma la fanciulla vuol lasciare l’età dell’innocenza con consapevolezza. Scappa dalla prigionia del padre, cerca l’arcolaio, si guarda il dito, lo trova e decide di pungersi.

Cade nel sonno profetizzato.

Ma il disincanto rispetto al “vero amore” si ripresenta ancora una volta, e la Disney ultimamente ne sta facendo un cavallo di battaglia. Un povero gentile giovane principe azzurro offre un bacio che non sortisce alcun effetto; il mito della passiva fanciulla e del maschile eroe salvifico si sgretola nella trama come nel mio cuore (non senza soddisfazione), con la scena delle tre fate che letteralmente e comicamente buttano il povero principe fuori dalla porta!

Il principe non sparirà del tutto, comparirà solo alla fine, quando una Aurora, ormai passata nell’età di essere donna, lo accoglierà SVEGLIA E COSCIENTE, nel suo regno.

E il bacio? Ormai da un po’ avevo annusato chi sarebbe stato il nuovo “salvatore”. E il mio cuore attendeva la catarsi di questo momento con impazienza.

“Salvatrice”, dovrei dire.

Il vero amore viene dal bacio di Malefica, e il vecchio archetipo della Crona si è ricomposto. Il potere di un bacio che ha spezzato l’incantesimo di illusione che imprigiona tristi e inermi principesse addormentate da secoli in passiva attesa del maschile salvifico . Il sonno di Aurora qui non dura che per poche ore.

La Dea smembrata, si ricompone. L’archetipo ritorna al suo originario ruolo.

La strega, al contempo madre, ritorna a essere trasformatrice e iniziatrice; lei è  il dolore che porta alla trasformazione.

Il male e il bene cessano di rinchiudersi nelle loro fazioni idealizzate e contrapposte, e l’antica dicotomia viene risolta in un personaggio che è magnifico, nella sua naturale complessità.

La fanciulla Aurora, risvegliatasi donna, sarà poi anche colei che, sfidando nuovamente il padre, romperà la teca costruita per custodire le ali rubate col tradimento a Malefica, le quali magicamente torneranno alla sua legittima proprietaria. La Dea ritorna ora alla sua iniziale potenza proprio quando pareva a un passo dall’essere distrutta.

Riesce quindi a difendersi e cambiare le sorti della battaglia in atto, fino alla morte del re-padre, suo primo amore.

Solo allora, Malefica riporterà il regno delle fate all’originaria felicità, deponendo la sua corona. E facendo di Aurora il simbolo della ritrovata unione dei due regni, fate e uomini, natura e cultura……..