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lunedì 15 settembre 2014

Daniza. Amare l'orsa, vuol dire non occuparsi degli esseri umani? Lettera a un quotidiano locale.

Voglio condividere con voi la mia piccola protesta, una voce che non sopporta più le assurdità che vengono sbandierate pur di mettere a tacere gli amanti dell'orso.

Caro Direttore,
stanca di quanto leggo e sento ultimamente, voglio fare sentire la mia voce.
Per contestare qualcuno, occorrerebbe conoscere bene le ragioni del suo argomentare.
Sul fatto dell’uccisione di Daniza, ne ho sentite invece di tutti i colori.
L’ultima “confutazione” di moda, è l’accusa di “non essere capaci di preoccuparsi di cose più importanti” mossa alle persone che amano l’orso e sono scese in piazza per contestare il modo in cui il caso di Daniza è stato gestito.
Il mio professore di retorica dei tempi dell' Università griderebbe alla “fallacia di falso dilemma”. Ovvero, questa argomentazione si fonda su un errore di ragionamento, ponendo, nell’ambito delle scelte etiche, la sfera dell’umano in falsa contrapposizione con la sfera dell’animale, dell’orso in questo caso.
Cari signori, cittadini, sindaci o religiosi, per quale motivo l’interesse per l’orso dovrebbe escludere l’interesse per l’essere umano, per i bambini che soffrono, per la desertificazione, per le guerre del mondo, ecc?
Per ciò che conta, nella mia esperienza invece accade il contrario. Le persone che scelgono di scendere in piazza sono spesso “attive” su più fronti. Invece mi domando: questi predicatori che, per non ascoltare le ragioni –forse ritenute scomode- di coloro che protestano e accusano con arroganza un gran numero di persone di essere “incapaci di dare il giusto peso alle cose”, cosa fanno concretamente, nel loro stile di vita, nelle loro scelte, per i problemi che loro stessi nominano come prioritari? 
La protesta per Daniza (si, il nome lo conoscono tutti perché pubblicato nelle prime pagine a caratteri cubitali da tutte le testate giornalistiche e diffuso da tutti i TG da circa un mese quasi quotidianamente) è molto di più di quanto si voglia vedere.
Ha a che fare con una politica arrogante incapace di mettere in discussione le sue scelte, specie quando messe in atto per ingraziarsi lo sguardo di possibili elettori. Politica che riguarda il nostro territorio in cui io e voi paghiamo le tasse e che quindi deve, per diritto costituzionale, poter essere criticata, anche se esistono "le guerre nel mondo".
Ha a che fare con la presunta superiorità dell’uomo sull’ambiente e sulle specie animali. Purtroppo fioccano gli esempi di come l’uomo spesso distrugga per capriccio e interessi economici, piuttosto che quelli in cui la convivenza è virtuosa. Come se l’uomo non fosse in verità parte della stessa natura che sta annientando (un sindaco, vostro lettore, citava la desertificazione? Appunto).
Ha a che fare con la difesa di esseri più deboli dalla cocciutaggine e dall’insensibilità dell’essere umano, che compie ogni sorta di crudeltà per egoismo, o per divertimento. Crudeltà che è umana, ricordo, e non animale.
Ha a che fare con l’arroganza di chi, occupando posizioni di potere, pretende la ragione snobbando punti di vista differenti: questo atteggiamento provoca maggior rabbia, e non è certo indice di capacità dialogo. Peggiora solo le cose perché opprime opinioni che dovrebbero, stando alle regole di democrazia, avere uguale dignità.
Ha a che vedere con quello che il simbolo dell’orso –e ancora di più, il simbolo di Madre Orsa- richiama nelle coscienze di un grande numero di persone: la natura nel suo aspetto selvaggio, che riflette una parte stessa della nostra più intima identità di animali, e la Natura nel suo aspetto di Madre, sempre più sostituito da una concezione di questa come di “matrigna”.
Sono simboli che ci appartengono. Negarli e soffocarli, non fanno che aumentare lo sdegno.
La foresta, non è il giardino di casa, da trasformare in un prato inglese. E’ casa dell’orso-orsa, parte da sempre della nostra cultura alpina al punto da essere stato, in passato venerato: come una Dea.
“L’uccisione dell’orso è in parallelo con l’uccisione del drago”, proponeva qualcuno. Non potrei che essere più d’accordo.
Se il caso di Daniza ha avuto tanta risonanza, mi sembra ragionevole interrogarsi dal profondo sui motivi, invece che ridicolizzare queste persone e i loro sentimenti.
Ad ogni modo, se ci sono cose più importanti di cui preoccuparsi, lancio la proposta di raccogliere i soldi destinati all’organizzazione delle attività venatorie, per indirizzarli, piuttosto, a una delle cause elencate, dai soggetti a cui mi riferivo sopra, come prioritarie. Ce n’è una bella scelta.

In fede,
Laura Ghianda

giovedì 11 settembre 2014

L'uccisione dell'orso e l'uccisione del drago. Addio Daniza, meravigliosa Madre Orsa.

Qualche mese fa assistetti a un incontro in cui si paragonava l’uccisione dell’orso, all’uccisione del drago. Un paragone quanto mai azzeccato, ammesso che non si cada nell’inganno di significare il drago-orso come una sorta di ambasciatore del “male assoluto”, bensì accettando di considerare i due animali per il loro significato arcaico. La Natura.
E’ con questo significato, che voglio scrivere questo intervento, con il cuore gonfio di dolore, senso di fallimento nei confronti della mia specie di appartenenza così autoreferenziale e poco consapevole di essere parte di un Tutto più grande, con la consapevolezza che, con la morte dell’Orsa Daniza, se ne va un’altra possibilità di trovare un modo diverso di rapportarsi alla natura. Ai nostri occhi sempre meno Mamma. Sempre più Matrigna.
Non mi soffermerò molto sulla figura del Drago. Le interpretazioni possibili dell’allegoria della sua uccisione sono molte.
Spesso il drago è descritto come “il Cattivo”. Viene inteso a rappresentare i demoni umani, il bagaglio di caratteristiche scomode a un determinato modo di concepire il “giusto e il vero”. 
Io ho sempre visto altro.
Il Drago è molto di più. In sé ha l’elemento terra: la sua mole maestosa. Ha l’elemento Aria: le sue ali. Ha l’elemento fuoco: il suo soffio. Ha l’elemento acqua: il suo essere anfibio. E non può mancare la quintessenza: la sua capacità di essere intelligente e saggio oltre ogni epoca, ogni cultura, ogni umana comprensione.
In una parola, il Drago è la Natura. In tutta la sua sacralità e potenza. Una natura che è fatta di un’intelligenza selvaggia e imbarazzante, come imbarazzante è considerato ogni istinto umano: persino quello materno (non parliamo di quello sessuale, nevvero?).
E come essere sacro e potente veniva venerato, prima di essere "infilzato" come uno spiedino da un culto successivo e patriarcale, che ha fatto di tutto per demonizzarlo e cambiare il nostro immaginario. Purtroppo, riuscendoci.
All’incontro a cui partecipai, in provincia di Trento, purtroppo ci si soffermò per poco tempo sugli aspetti mitologici del drago e dell’orso. La mitologia, nella cultura “post-post positivista” di oggi, viene sempre  ritenuta poco seria e relegata al ruolo di “favoletta”, e il discorso si è spostato subito su un piano scientifico. Bellissimo, interessante, ma…
..Ma è la mitologia, sono le storie che ci raccontiamo, le “favole”, che sanno parlare una lingua così diretta da raggiungere le parti più nascoste di noi sino a riuscire a influenzare il nostro modo di pensare, agire, produrre cultura. 
Storie più o meno fantasiose, che non andrebbero quindi ridicolizzate in fretta e furia. Un grosso errore, quello di considerarla “conoscenza di serie B”.

La storia di convivenza tra l’uomo (e la donna?) e l’orso, è ancora oggi scritta in quelle storie. In quelle “favole”. E l’epilogo, ancora una volta, è un’altra Orsa uccisa. Tra l’esultanza di parte della popolazione, l’indifferenza della maggior parte, e le lacrime di una terza parte… Un altro drago immolato all’altare della superiorità umana che non mette in discussione nulla del suo vivere comodo. 

Le leggende questo vogliono:
la natura imbrigliata. Addomesticata. No, di più. Assoggettata alla volontà umana. La promessa che sarà l’uomo a regnare su tutto. Un uomo che ha scordato come dialogare con quanto lo circonda. Che ha scordato che “non è tutto suo”. Non è tutto suo diritto.
Un’orsa, Daniza, colpevole di avere solo…fatto l’Orsa.
E le responsabilità umane? Taciute. 

Uno o due giorni dopo l’attacco al fungaiolo per cui Daniza è divenuta famosa, è apparso su un quotidiano locale qui in Trentino il racconto di un albergatore della zona, che dichiarava candidamente di come avesse incontrato e spaventato Daniza coi suoi due cuccioli, la stessa mattina dell’attacco. Daniza fece l’orsa: si girò e se ne andò. Ma lui, non contento, la seguì per un po’. Finchè il distacco non fu tale, da vederla sparire e allora decise di tornare indietro.
“Poi è arrivato il fungaiolo”. L’articolo si chiudeva pressappoco così. Nessuno ne parlò più.
L’Orsa Daniza fu messa sotto processo. 
Nessuno andò dall’albergatore a chiedere “cosa diavolo ti è venuto in mente?”.
Nessuno che si prese la briga di immaginare come Daniza possa aver vissuto quello che, a me, suona tutto come un inseguimento di una mamma con due piccoli da difendere da un essere che non si conosce. Di cui poi può benissimo aver fatto le spese l’ignaro fungaiolo, che si è trovata un’orsa incazzata per via di questi umani impiccioni. 
Tanto sta, che Daniza ora è morta. Ufficialmente, si dice che non abbia retto la dose di anestetico utilizzato per catturarla. Due cuccioli di nove mesi sono ora senza la loro mamma.
E noi “Sapiens Sapiens”, sapiens di nozioni ma sempre meno sapiens di saggezza, abbiamo ucciso di nuovo in nome della nostra incapacità di convivere con la natura, dalla quale ci sentiamo sempre più distanti, tranne quando ci piace considerarla come luogo privilegiato per i nostri picnic domenicali. La Natura con la museruola.
Ho letto in quest'ultimo mese (dall'incidente di Daniza e il fungaiolo) ogni sorta di parere e dibattito. Tra chi sosteneva che i difensori dell’orso sono cittadini (termine usato in senso quasi dispregiativo) e che le montagne se le devono gestire i montanari. Come se Trento fosse Milano.
Chi persino sosteneva che il progetto Live Ursus sarebbe assurdo, poiché “l’orso non sarebbe mai stata specie endemica del Trentino” (questa poi….).
Chi ancora oggi, parlando dell’uccisione, prosegue il suo articolo con la lista delle “malefatte”, così, tanto per dire che con questa morte, non si è perso nulla anzi.
Ho letto infinite liste di nomi che terminano per “isti”, usati per etichettare (al solito) la fazione che non si vuol ascoltare.
Ho letto, come giustificazioni alla cattura, immaginari scenari di orsi terribili che sterminano esseri umani – dimenticando che gli sterminatori fino a prova contraria per il momento siamo noi umani………della natura, e di noi stessi (se natura e animali ci dovessero rendere pan per focaccia, ragazzi miei, allora pronti a scappare tutti quanti). Un po’ come nei film con gli alieni: storie in cui proiettiamo in un nemico esterno quelle che sono le nostre stesse ombre. 
Gli amanti dell’orso, sono persino stati definiti ”terroristi”!
Si è toccata ogni sorta di assurdità retorica. Nessun dialogo, nessun ascolto. La decisione era presa. Daniza doveva sparire dal suo bosco, dalla sua casa. Per giunta a solo un mese dal letargo!! 
Gli amanti dell’orso, o sostenitori della necessità di non annientare e sterminare per i nostri comodi di “Sapiens sempre meno Sapiens”, oggi piangono, assieme a me. E, ammesso che gli orsi piangano, assieme ai due indifesi cuccioli di nove mesi, che sono orfani e soli, senza più la loro Mamma. 
Cosa era l’orso, per i nostri antenati?
Non il trofeo da esibire in santuari (per quanto meravigliosi, magici, pieni di magia e meritevoli di essere visitati), non un animale da infilzare.
Ma una Dea, una Dea Madre per giunta, che in tutta Europa nonché nelle Alpi che sono SEMPRE state la sua casa, è stata venerata con i nomi di Dea Artio, Artha, Artia, Andarta, Artemide…. E che era animale tutelare di colui che noi stessi chiamiamo eroe, “Artù”. 
Una Dea, e una Madre che oggi è stata nuovamente uccisa. Nel suo essere Orsa, nel suo essere Dea Natura, e nel suo essere Madre.

Addio piccola meravigliosa Daniza. Un posto nel mio cuore per te ci sarà sempre. E anche, quanto prima, un posto sulla mia pelle.
Invito i miei lettori a tenere acceso un lume per questa creatura. Anche se questo post verrà letto molto tempo dopo averlo pubblicato. Un lume per riaccendere nei nostri occhi di "mica tanto Sapiens" la sacralità di questo magnifico animale. 
Questo assassinio non è stato compiuto in mio nome.





mercoledì 10 settembre 2014

Tempio coperto, tempio scoperto. Come è fuori, così è dentro. Tutto è sacro.

In principio, era il bosco. No, meglio.
In principio, era la Natura. Tutto.
Il Sacro permeava ogni cosa, senza distinzione tra ciò che era sacro, e ciò che era profano.
Accadeva molto tempo fa. Prima che il pensiero dicotomico si impossessasse della capacità di significare la realtà degli esseri umani.

Dopo aver scritto il post sulla visione del Tempio della Grande Madre di Trento (leggi qui), una cara ragazza che ha avuto il coraggio di esprimere i suoi sentimenti a riguardo, mi ha scritto qualche messaggio in cui esprimeva dubbi sull'opportunità di un luogo coperto e chiuso in cui celebrare il sacro femminino. La ringrazio, perché mi ha permesso di rivedere le tappe del percorso del mio pensiero in merito,di cui ora voglio scrivere.

E' un tema su cui ragiono da molto tempo.
Non avevo espresso ancora la mia intuizione a riguardo, e immagino che le domande che mi sono posta io (e che si pone questa ragazza), se le pongano in molte/i.

Sulla venerazione del Sacro all'aperto, vorrei segnalare un favoloso articolo di Luciana Percovich (clicca qui)  che parla da sé.
Le mie ricerche arrivano alle medesime conclusioni.

La mia prima intuizione, era la ricerca di un bosco, da acquistare magari come associazione, un luogo protetto per celebrare lontano da "manacce irrispettose e cementificatrici".
E non ho abbandonato questa idea.
Questo è il mio vissuto, dopo tutto.
E' stata la Natura ad avermi "salvato" da certe brutture della vita.
Una natura che non ha nemmeno bisogno di essere "sacralizzata" con un'umana operazione: è già sacra di suo. Ciò che ha bisogno di essere "ri-sacralizzato" è piuttosto l'occhio umano che osserva la natura e non vede più qualcosa di sacro. Ma "un dono", un giocattolino da usare a piacimento. A questo scopo, alcuni riti rispondono bene. Servono all'umano, a rieducarlo, riabilitarlo, ri-donare un potere perduto che non è nell'abuso della Natura, ma nell'alleanza con la Natura la sua vera forza.
E l'arcaico tabù dei luoghi inviolabili, di cui parla anche Luciana nel suo articolo, sta forse a significare proprio un simbolico limite all'azione umana: "agisci, prendi, disponi ma non di tutto. Limitati. Ciò che ti serve per vivere, è nel tuo diritto. Il resto non è tuo. E' degli spiriti che lo vivono. E' di altre creature. Visibili o meno." E' l'inviolabilità, come simbolo che occorre avere chiaro questo limite. Oltre il quale non è saggio spingersi.
Un limite che abbiamo perduto da molto tempo.
I miei primi "riti", quando ancora ero una bambina di una decina d'anni, avvenivano su una roccia a forma di aquila o di drago (o così io la vedevo), che avevo "scoperto" per caso.
E nella mia crescita, ogni esperienza di sacro significativa non avveniva nell'edificio "chiesa" messo a disposizione dalla mia religione di provenienza, no. Era il bosco che cercavo. Bosco che affrontavo, talvolta anche isolandomi, per ascoltare le mie paure, nelle ore notturne. Bosco nel quale ho dormito senza riparo. Bosco nel quale ho meditato, suonato, cantato, camminato.....

Poi, ho fatto esperienza del Goddess Temple a Glastonbury.
E ho intuito anche altre cose.

Non è l'edificio "chiesa" così come lo abbiamo sperimentato, il modello del "tempio coperto" che è nella visione che propongo.
L'edificio chiesa si inserisce in una modalità di pensiero, duale, che contrappone la materia creata (e quindi la natura) allo spirito.
Lo spirito sommo, la Divinità, chiusa nel "sancta sanctorum", l'area più sacra, cuore dell'edificio. Il sancta sactorum, è un luogo chiuso e inaccessibile in cui presenzia lo spirito della divinità, una delle uniche tre forme di immanenza del Dio trascendente, secondo la tradizione ebraica.
La chiusura qui simboleggia distacco dal resto della materia, profana, se non persino impura. "Luogo dello Spirito", si dice in certe accezioni.
Questo simbolo di distacco mal si concilia con la mia intuizione.

Ho sperimentato un luogo-tempio altro, come un luogo "tana".
Un luogo sicuro, in cui ri-addestrare l'occhio umano a scorgere la sacralità in tutto.
In se stesso, prima di tutto.
Ho sperimentato attraverso alcune Dee, simbolo di questa "tana", del focolare "sicuro", che Colei che è fuori, è Colei che è anche dentro (Brigit, per fare un esempio, veniva celebrata anche al coperto).
Dea risolve gli opposti. E in questa risoluzione, alberga il suo Tempio. Lei è in ogni cosa. Lei è nella volontà di riunire.
Dinanzi un edificio, una medesima forma esteriore può cambiare il senso del suo esistere radicalmente, se fondata su intenti così differenti.

Ho sperimentato il bisogno delle persone di un simile luogo, un tempio moderno che forse rievoca arcaici ricordi di templi ben più antichi: penso a Malta, dove le prove archeologiche portano all'ipotesi di una copertura ormai dispersa, forse perchè lignea...
Ta Hagrat. Modellino di Tempio maltese.

La cultura in cui viviamo oggi forse ci espone troppo a una sensazione di bombardamento.
A cui si risponde con desiderio di protezione. Non dalla Natura perchè "profana". Una protezione, bensì, dagli stimoli culturali che la desacralizzano, che sono costanti e onnipresenti.
Desiderio di una "tana", luogo arcaico della nostra natura di animali.
Tana come avvicinamento, di nuovo, quasi per paradosso, alla Natura.
Tana-Tempio come luogo intermedio, in grado di de-strutturare certi concetti di cui sentiamo poter fare a meno (tra cui, il concetto di materia contrapposto a spirito), e iniziare così un cambiamento.
Un luogo Utero, in cui i cambiamenti iniziano a prendere vita.
Tana-Tempio-Utero, come luogo di formazione. Per riapprendere ciò che è dimenticato e costruire assieme una nuova forma di cultura.
Tana Tempio Utero come luogo-edificio riconosciuto immediatamente dallo sguardo di chi appartiene all'attuale cultura, per non separare più "natura" da "cultura".
Tana Tempio Utero per offrire a Dea un posto anche all'interno della cultura, quindi.
Le sue pareti non per separare. Ma per contenere, nutrire e dare vita come in Utero di Madre.
Nel Tempio di Glastonbury, Dea Una e la Dea Multiforme nei suoi vari aspetti, si percepisce forte quanto la si percepisce nel meraviglioso bosco in cui cammino per riconnettermi con Lei. Magari in modo differente, ma altrettanto intenso.
Si percepisce come dinanzi alla potenza del mare. Come nel fascino del temporale e nella paura della tempesta.
Lei sa essere presente. E' la montagna superba e magnifica. Ed è il tiepido calore della mia casa. E' l'intero Universo, è il centro del mio cuore. E' il bosco nel quale adoro perdermi e stupirmi dei suoi abitanti. E' il tempio che Le dedicheremo.

Perchè è Colei che è fuori. Ed è Colei che è dentro.
E io scelgo di non contrapporre più ciò che è fuori, con ciò che è dentro.

Laura Ghianda



martedì 2 settembre 2014

Il sogno e la visione del Tempio della Grande Madre di Trento

Sogno un luogo stabile, colmo dell'energia della Grande Madre.

Un luogo sicuro, per coloro che desiderano sperimentarla.

Un luogo che può essere aperto come era nei tempi della nostre arcaiche antenate, la Natura, dove Colei che è sempre stata si trova già, senza necessità di un'umana costruzione.

Ma anche un luogo coperto, stabile, protetto, colorato e decorato, profumato di incensi e illuminato da lumi e candele. Un luogo riconoscibile e individuabile da coloro che ricercano....
Un luogo caldo e confortevole.

Un luogo accessibile a chiunque, anche a chi non può camminare.

Un luogo che sia un punto di approdo per ogni persona desideri incontrare Dea; meditare, pregare, o anche solo riposare nella sua energia. Un utero che accoglie, e non respinge.

Sogno che accolga ricercatori provenienti da qualsiasi corrente religiosa o spirituale: che non sia un luogo di chiusura per pochi eletti e poche elette, ma che ciascuno in grado di varcare con rispetto la soglia del suo ingresso, possa trovarvi posto. E scegliere da sè, quanto di questa presenza fare entrare nella propria vita.
Che sia dunque aperto senza distinzioni di genere, razza, religione o corrente spirituale, opinioni, preferenze sessuali, riconoscendo esso la "Comune Natura Umana" delle persone.

Sogno un luogo stabile che sia un punto di riferimento per i nostri eventi, le celebrazioni della sua Natura e dei suoi aspetti, la nostra ricerca, lo studio, le nostre feste in Suo onore. Aperto a coloro che a noi si vogliono unire.

Sogno un luogo di guarigione. Di risa e di lacrime. Di canti e musica. Di lunghi silenzi. Di luce e di buio.

Sogno un luogo aperto al pubblico, retto dalle sue Melisse e  Sacerdotesse/Sacerdoti, provenienti anche da tradizioni diverse. Sogno un'alleanza delle vie, attorno a questo progetto.

Sogno che questo progetto sia alimentato da molti cuori, focalizzati in questo intento. E non accentrato su un'unica persona (io o qualsiasi altra) che lo regge a modo di "somma sacerdotessa". Sogno che non sia sede di un'organizzazione gerarchica, ma di cerchi di amanti di questo sogno, membri alla pari che per qualsiasi motivo decidono di sostenere questo progetto.

Sogno che, per una volta, si abbia il coraggio di osare qualcosa di diverso: non una replica di altre religioni o altre correnti spirituali, ma qualcosa di nuovo. Se il vecchio ha sempre fallito, è tempo di riprovarci, con creatività.
Sogno sia luogo di sperimentazione e creatività.

Sogno che sia luogo di costruzione, non di distruzione.

Sogno che al suo interno siano valorizzate le relazioni. Non le prestazioni.

Sogno un luogo ove ricercare e studiare la Dea. Una e Multiforme, Immanente e Trascendente, Colei che è dentro e fuori. Materiale e Immateriale.

Sogno un luogo dove studiare e praticare un differente modo di fare cultura. Una cultura di partnership e non di dominanza.

Sogno che al suo interno si possa imparare il sostegno e un altro modo di comunicare, non violento. Allo stesso tempo, che ci sia supporto per il fallimento, e non giudizio ed esclusione dinanzi a questo. Sogno che i conflitti si possano dipanare in altri modi, materni, matristici.

Sogno che profumi dei profumi della Grande Madre, colei che riunisce e risolve gli opposti.

Sogno sia parte di una rete di Templi di Dea e delle Dee italiana (in corso!) e internazionale (già esiste, uniamoci!)

Quindi, ovvio, sogno sia un luogo per i locali, e anche per i visitatori. Internazionale e intimo assieme.

Sogno che.........

Se vuoi unirti al mio sogno, perchè lo condividi anche tu, perchè ti garba... aggiungi anche i tuoi, di sogni..... perchè non lo facciamo assieme?
Facciamolo.
Ce la possiamo fare.


Riportiamo la Dea in vita anche in questo splendido angolo di mondo.

(tutte le immagini utilizzate si riferiscono alla Goddess Hall e al Goddess Temple di Glastonbury www.goddesstemple.co.uk )


Laura Ghianda