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mercoledì 28 dicembre 2016

OCEANIA recensita: natura-umanità, maschile-femminile - antichi simboli per nuove narrazioni

Attenzione, contiene spoiler!
Nota: la lettura che proponiamo si riferisce alla narrazione del film Disney e non alle leggende originali indigene.

Abbiamo dimenticato per cultura l’importanza delle narrazioni. Abbiamo creduto di poterle sostituire dalla razionalità ma questa sostituzione non è interamente possibile. Possiamo provare ad affiancare narrazione e razionalità. La narrazione manterrà sempre il suo fortissimo potere. La narrazione, come sapevano gli antichi, è magia. Le parole che narrano parlano direttamente al centro di noi stessi, arrivano alle nostre emozioni, plasmano le categorie con le quali guardiamo al mondo e, quindi, plasmano la nostra stessa realtà. 
Una differente narrazione può cambiare il mo(n)do, può cambiare noi stesse/i aprendoci nuovi orizzonti nella possibilità di essere, ecco perché ci investiamo così tanto.
Mentre dal piccolo della nostra associazione facciamo sforzi immensi per offrire altre narrazioni, su larga scala negli ultimi anni ci sta provando la Disney. Business o no, allo scopo ci riesce pure abbastanza bene. Dopo alcuni capolavori tipo Maleficent (recensita qui), Frozen, nonché Ribelle (recensito qui), è la volta di “Moana”, o meglio, “Oceania” dal momento che in Italia il nome originale (Moana in lingua maori e hawaiana significa “oceano”) è stato cambiato per il timore che le ricerche in google portassero dritte alla ormai nota pornostar scomparsa vent’anni fa.

Di narrazioni parliamo, e con una narrazione inizia anche il film.
 “In principio c’era solo l’oceano, finché non emerse l’isola Madre Te Fiti”.
Un mito cosmogonico, l’Origine, le acque primordiali e l’inizio della vita.
Ma il cuore di Te Fiti aveva un potere: il potere della creazione, che condivideva con tutto il mondo. 
E come ricorre nei miti cosmogonici di pressoché tutti i continenti, il potere di creazione della Grande Madre è guardato con invidia.
E come sovente ricorre, sempre nei suddetti miti cosmogonici, un personaggio di sesso maschile l’ha rubato per donarlo agli uomini. In questo caso Maui, un semidio armato di un gigante amo magico che gli consente di essere un mutaforma.
La frattura che troviamo anche in Malefica ha inizio: l’armonia viene spezzata, assieme all'alleanza umano-natura per brama di potere e desiderio di dominio, o di gloria. 
Senza più il cuore della Dea la natura inizia a marcire, il disequilibrio porta ovunque morte e desolazione e badate che volutamente non sto usando le categorie “bene-male”, ma “equilibrio-disequilibrio”. Con la fine dell’alleanza natura-umanità inizia anche la dicotomia “natura-cultura”, ancora oggi i due termini della coppia sono percepiti (perché cosi sono narrati) come opposti.
Dopo il furto, Maui viene inseguito dal demone della lava e della terra Te Ka, perde il suo amo, il cuore di Te Fiti e per mille anni viene confinato su di un’isola deserta.

Questo viene raccontato dalla madre del capo villaggio a una piccola Vaiana entusiasta.
La piccola è attratta dall’oceano e dall’avventura e, avvicinandosi a esso, accade una magia. L’acqua chiama la piccola attraverso una pista di splendide conchiglie e poi interagisce con lei, fino a portarle il perduto cuore di Te Fiti, una piccola pietra verde con l’incisione della doppia spirale.
Ma la magia s’interrompe bruscamente quando il padre, preoccupato per l’allontanamento della piccola, prende in braccio Vaiana e il cuore ritorna nell’oceano. Almeno finché non lo recupera nonna Tala, sedicente “pazza del villaggio”, in realtà molto molto moooltissimo di più.

Nonna Tala è un personaggio chiave. Incarna l’archetipo della Crona nel suo aspetto di "colei che ti riporta alla vera essenza di ciò che sei". Colei che chiede di ascoltare l'autentica e unica tua canzone dell'anima. Abbastanza anziana da infischiarsene del parere degli altri, passa lungo tempo a danzare in simbiosi con l’oceano e con le mante, suo animale totemico. Colei che il suo posto l’ha trovato eccome.
Vaiana sarà la futura capa del villaggio, e in lei è presente la scissione tra la consapevolezza dei propri doveri e il desiderio di trovare la sua natura e il suo destino. E sarà proprio la nonna a spingerla verso questa seconda direzione. La contraddizione, come spesso accade, e' solo apparente: vedremo che non potrà esserci una cosa senza l'altra.
L’occasione arriva quando anche sull’isola di Vaiana le piante cominciano a marcire e il pesce a scarseggiare. L’isola così tanto narrata e cantata come paradiso di abbondanza e armonia non è immune ai danni causati dall'antica frattura, dal furto del cuore di Te Fiti compiuto da Maui.
E così il richiamo dell’oceano si fa sentire. Vaiana propone di superare il reef, la barriera corallina, in cerca di nuovo pesce. Ma il padre glielo impedisce. Un vecchio tabù è stato imposto al fine di proteggere la gente del villaggio e la barriera corallina diventa il confine ultimo oltre il quale non ci si può spingere. Vaiana disobbedisce e di nascosto parte, ma oltre la barriera la forza del mare distrugge la sua barca mettendo la sua vita in pericolo.
Tornata sull’isola, Tala la nonna-Crona la riporta alla sua vera natura: dopo che la madre le ha raccontato la disavventura del padre in gioventù, che perse un amico nel tentativo di superare il reef, Tala la spinge a esplorare l’interno di una grotta (chiaro il simbolismo?) dove da un migliaio di anni sono nascoste le antiche imbarcazioni che gli antenati utilizzarono per navigare le isole del pacifico. Di più: Tala le racconta di essere stata presente il giorno che “l’oceano l’avrebbe scelta per riportare il cuore di Te Fiti al suo posto”.
All'interno della grotta Moana/Vaiana suonerà un antico tamburo che porterà le visioni degli antichi antenati navigatori, assieme ai fuochi si riaccende anche la sua passione. 
All'interno della grotta Vaiana trova la risposta che cercava.
Vaiana partirà. E la scelta ha il valore dell'iniziazione: anche quella femminile può partire da un dilemma, da una scelta, da un'azione attiva. E in tutto il viaggio che intraprenderà, parte della sua iniziazione, troverà ciò che le serve per essere una capa integra e completa.
Le iniziazioni sono sempre tappe verso il raggiungimento di un sé più completo.

Tala le spiega come ritrovare Maui, per spingerlo a riporre il cuore della Dea al suo posto e ripristinare così l'equilibrio.

E così Vaiana parte di nascosto dal suo villaggio, servendosi di una piccola imbarcazione reperita nella grotta, ritrovandosi a bordo il gallo più idiota della storia. E lo fa proprio il giorno della morte della nonnina, che da li in poi la seguirà in spirito.
Procede abbastanza bene fino a quando una tempesta rovescia l’imbarcazione e la spinge sulle rive di un’isola deserta: l’isola di Maui.
Il tentativo di ingaggiare Maui per ripristinare l’antica armonia fallisce miseramente con il semidio che rinchiude Vaiana in una grotta e tenta di fregarle la barca al fine di andare a riprendersi il suo amo magico, che è finito nella collezione di preziosi di Tamatoa, un immenso granchio dall'accento simile al piccolo Sebastian della sirenetta.
Vaiana però, agile come uno scoiattolo, riesce a trovare una via di fuga e, aiutata dall'oceano, raggiunge l’imbarcazione di Maui, il quale è restio anche solo ad avvicinarsi al cuore della Dea, che crede essere portatore di una maledizione. Di fatti, da lì a poco compaiono i Kakamora, terribili quanto coccolosi mini piratini vestiti da noci di cocco che desiderano impossessarsi della pietra e del suo potere. 
Maui e Vaiana la scampano in modo rocambolesco e anche piuttosto buffo, e Maui  accetta la missione, ma perché Vaiana ha colto nel segno: la possibilità della vera gloria. Maui infatti fino a quel momento non sapeva che non è affatto considerato l’eroe che crede di essere. E l’attenzione degli uomini è quanto più gli interessa nella sua esistenza. 
La condizione però è di recuperare l’amo magico da Tamatoa.

Tamatoa sta nel regno dei mostri selvaggi, un’affascinante versione del mondo di sotto adatto al continente oceania. L’ingresso è su un’alta roccia vulcanica attraverso un lungo salto nel vuoto.
Se fino ad adesso Vaiana è trattata da Maui con aria di sufficienza, è qui che inizia anche la collaborazione tra i due grazie alla quale l’amo è recuperato: lui ha bisogno di lei, deve imparare a guardarla con altri occhi. 
La navigazione può riprendere alla volta di Te Fiti. Ora è lei che ha bisogno di lui: Maui insegna a Vaiana l’arte di navigare usando le stelle. 
Qui la ragazza gli pone domande rispetto alla sua nascita. Lui inizialmente non ne vuole parlare ma poi racconta di essere nato da genitori umani e subito abbandonato dalla madre che l’ha gettato in mare. La scena è ritratta in uno dei tatuaggi che lui tiene ben nascosto sotto i capelli. Solo dopo sarebbe stato soccorso e allevato dagli dei, i quali gli hanno donato l’amo magico.
La ferita da abbandono è il motore di Maui: ogni sua gesta, ogni suo tentativo di passare da eroe finanche il furto del cuore di Te Fiti era spinta dal suo bisogno di essere amato dagli stessi uomini che l’hanno abbandonato. Una tirata d'orecchi al mito dell'eroe spietato: si smette di giustificare ogni sopruso come atto eroico e si comincia a volgere lo sguardo verso l'interno. Anche gli eroi sono umani, anche gli eroi hanno sentimenti, dolore e una psiche come la nostra. Maui ha rubato il cuore della Grande Madre, lo stesso cuore che la madre biologica non gli ha donato. Lo schema si replica assieme al perpetuarsi della ferita.

Arrivati presso Te Fiti incontrano il demone del fuoco e della terra Te Ka che non da loro tregua. L’amo di Maui subisce un colpo che lo danneggia seriamente e i due litigano: Maui accusa Vaiana per aver tentato una manovra azzardata e mette in discussione il suo essere stata scelta dall’oceano. Vaiana viene così abbandonata dal suo compagno e implora l’oceano di scegliere un’altra persona per portare a termine la missione. Il cuore di Te Fiti torna sul fondale.
Agisce di nuovo la crona, che arriva in soccorso:è lo spirito di nonna Tala, nella forma di una luminosa manta, assieme agli antenati di Vaiana, che incoraggiano la ragazza a seguire il suo cuore. Lei prende coraggio, recupera la pietra e riesce a ingannare Te Ka, ma non per molto.
E’ Maui a tornare in soccorso, pentito di averla abbandonata, e con un ultimo colpo arresta la furia di Te Ka ma ne va del suo amo, definitivamente rotto.
Vaiana però si accorge che Te Fiti nella forma di isola non c’è più, comprendendo che la Dea si è tramutata nel demone lava una volta che le è stato sottratto il cuore. 
Di nuovo, il tema dell’antica ferita. Come in Malefica, il disequilibrio ha inizio quando l’inseparabile viene separato, quando viene diviso ciò che in principio era unito. La Dea, da dispensatrice di vita, armonia e abbondanza, diviene puro concentrato di rabbia e distruzione.
Cantando, Vaiana chiede a Te Ka di ricordarsi chi è veramente, mentre chiede all'oceano di aprirsi per permettere alla lava di raggiungerla. Te Ka le permette di restituirle il cuore e la Dea Te Fiti riprende la sua spettacolare, magnifica, incantevole forma. La vita rinasce a poco a poco, nel suo naturale alternarsi di prosperità e morte. E io piango.
Ho amato molto ciò che accade ora: la Dea guarda Maui di storto, ma lui si scusa senza riserve e lei lo accoglie. Lui ha creato il pasticcio. Lui però ha contribuito al rimedio: è cambiato incontrando Vaiana e condividendo esperienze con lei. Lo ricompensa: con un nuovo amo magico, mentre Vaiana viene ricompensata con una nuova barca prima che la Dea torni nella sua forma di isola.
Il finale è una capa Vaiana che torna dal suo popolo, deposita una splendida conchiglia (simbolo della yoni in pressoché tutte le culture del mondo) come suo emblema al posto delle pietre piatte che tutti i suoi antenati capi posavano in pila a segno del proprio status, insegna a navigare alla sua gente che parte alla scoperta di nuove isole, accompagnati dallo spirito della manta-nonna e da Maui sotto forma di falco.

Trovo splendida la possibilità di riscatto per il maschile patriarcale, che può avere riabilitazione e riconoscimento dopo la collaborazione maschile-femminile per riportare il cuore tolto alla Dea. Viene a cadere il mito dell’eroe che devasta, uccide, ruba e sottomette la natura in favore del mio caro concetto di “eroismo condiviso”, lui e lei che collaborano per salvaguardare l’equilibrio e le leggi della natura. Un doppio cambio: 1- dall'eroe singolo e maschile a un eroe multiplo nel numero e nel genere; 2- cambia ciò che viene definito “gesto eroico”: dalla sottomissione della natura all'alleanza con essa.
Occorre rinarrare anche un nuovo maschile.
Adoro questo lieto fine che non è il solito vomitevole matrimonio dei classici, ma una collaborazione per rinsaldare l’antica frattura. Umanità e natura tornano alleati, in questa alleanza si moltiplica l’abbondanza: esattamente come narrano gli antichi miti cosmogonici di tutti i continenti. I veri miti intendo, non quelli del film. 
Alleati tornano a essere anche maschile e femminile (senza bisogno di infilare la forma sociale del matrimonio!), finalmente sul medesimo piano e non in quell'asimmetria di ruoli di molte fiabe classiche in cui l’uno incarna in via esclusiva la polarità attiva e l’altra quella passiva. 
L'attivo e il passivo invece qui danzano, alternandosi in lui e in lei più volte in uno scambio proficuo ove entrambi ne escono vincitori e cambiati. Entrambi il risultato di una propria iniziazione.
E il cerchio si chiude, per iniziare un nuovo ciclo.

Danza dell'attivo/passivo: la nostra proposta, nell'uscire dal pensiero duale oppositivo che tutto separa in rigide coppie di opposti (per approfondire "se il femminile è anche Sole e il maschile anche Luna" oppure  "Chi ha paura della Dea Madre"), è quella di un essere umano completo di tutte queste polarità, che non necessitano di essere attribuite a un singolo genere: l'essere attivo non è "il nostro maschile", l'essere passivo non è "il nostro femminile", ad esempio. Esiste un attivo femminile quanto un passivo maschile. Ogni essere umano ha questi strumenti entrambi fondamentali, può godere della portata simbolica di queste categorie, e potenzialmente è completo. Non significa annullare le differenze, significa abbandonare l'idea che la differenza sorga da una "mancanza" o "mutilazione". 
Quello che può cambiare, è il movimento di energia tra queste polarità e la collocazione delle stesse polarità nel corpo. Ammesso di essere disponibili a riconoscere il corpo come sacro e non in antitesi con lo spirito (altro frutto del pensiero duale oppositivo).

Te Fiti come isola madre: per anni la mia razionalità e i miei studi mi hanno spinto a guardare con scetticismo al riconoscimento di forme antropomorfe nel paesaggio. In psicologia ha un nome, "pareidolia", ed è considerata una forma di illusione. E' solo con il tempo che ho compreso il significato simbolico in questo sguardo: che sia in forma antropomorfa, zoomorfa o come pare a chi legge, queste forme hanno in sé un riconoscimento di sacralità. L'avere tramutato questa tendenza (che in questo senso ora per me è una vera pratica spirituale) in un'illusione dotata di un nome tecnico dimostra quanto il nostro sguardo sia assuefatto dalla morte della materia, che nella nostra cultura si traduce in un concepire la terra/Terra come ammasso di risorse da sfruttare, senza limite. Con la pretesa della razionalità assoluta inoltre, stiamo perdendo la poesia.
Ben venga Te Fiti con la sua bellezza, ben vengano tutte le forme della Dea riconoscibili nelle nostre terre.

Spostandoci dall'analisi di questo simbolismo per dovere di cronaca è opportuno anche spendere due parole sulle polemiche sollevate da parte dei popoli indigeni polinesiani e hawaiani sul film. In particolare è stata molto criticata la versione di Maui proposta, rielaborazione di un antenato mitico qui considerata svilente. L’aver preso alla leggera il valore culturale del tatuaggio maori ha fatto si che la Disney fosse costretta a ritirare il costume per bambini del semidio destinato al merchandising. Altri malumori sono dipesi da altri stereotipi sulla cultura maori (non ultima la stazza di Maui) e dalla scarsa accuratezza storica sulle origini del popolo polinesiano.
Il demone Te Ka è ispirato dalla Dea Pele, dea vulcano Hawaiana (e in parte da Mahuika – Dea del fuoco maori – a dimostrazione che ovunque nel mondo il fuoco è anche elemento femminile), che però non è richiudibile banalmente nella categoria “cattiva”; inoltre, non è che gli elementi culturali delle isole Hawaii siano assimilabili alla cultura maori giusto perché “è tutto oceania”, cosa che nel film avviene con forse un po’ di leggerezza. Un po’ come rappresentare siciliani che mangiano wurstel e crauti perché “tanto è tutta Europa”.

Ma che dire se non che scelgo di mettere in luce la narrazione di un differente femminile, altrettanto attivo, solare, fiero e completo della controparte maschile la quale ha pure occasione di riscatto, nonché una differente relazione tra i due. E che di questo c’è un gran bisogno. 
Mi immagino come sarei cresciuta se da piccola avessi avuto questi modelli di donna, così simili a me, invece della violenza che mi sono autoimposta per somigliare alle passive, eternamente irraggiungibilmente bellissime, eteree, lunari principesse in perenne attesa del principe…(racconto sull'effetto delle fiabe classiche sulla mia crescita qui)

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